pp.180, brossura 13x18, illustrato colori
Il termine “masseria” deriva da massae o massaricius, con cui si indicavano estensioni di terreno dotate di costruzioni – residenze padronali e coloniche, ovili, frantoi, cantine, depositi per gli attrezzi e altro ancora – attraverso le quali si svolgevano e si orientavano i cicli di produzione del lavoro agricolo e delle funzioni legate alla pastorizia o all’allevamento di bestiame.
Soprattutto dal Cinquecento in avanti, ciascuna masseria pugliese è da intendersi come un florido centro di coltivazione e allevamento perfettamente autosufficiente, non di rado realizzato con modalità architettoniche adatte a respingere ogni tipo di assalto e proposito predatorio. Coi loro profili imponenti, con le loro architetture magnifiche e spesso isolate sul fianco di un colle, in vetta a un’altura o nel mezzo di una pianura sconfinata, le masserie raccontano la storia delle Puglie: le si ritrova quasi ovunque, paradigma di una società votata da sempre all’organizzazione del lavoro campestre, simbolo di sacrifici e vite vissute in simbiosi coi cicli delle stagioni.
Rimaneggiate, ampliate, trasformate, le architetture masseriali che si sono preservate fino ai giorni nostri risalgono per lo più all’epoca compresa fra il Cinque e l’Ottocento. Nondimeno, i complessi rurali che giganteggiano nella piana del Tavoliere immersi in un lago di luce mediterranea, o che si ergono maestosi fra i tenui rilievi dell’altopiano murgiano, o che marcano la piattaforma assolata della penisola salentina, sono l’esito di una tradizione che ha origini assai remote.