pp.128, brossura Giuseppe Raffaele Politi muore durante la difesa della quota 241, il 28 maggio 1917. Gli austriaci tentano di riconquistare la posizione. È quasi mezzanotte, secondo l’informativa che giunge alla famiglia. Di certo Giuseppe non vede l’alba del 29. E sarebbe stato un nuovo giorno del tutto uguale al precedente e al successivo, nella monotonia distruttiva di quegli assalti. L’artiglieria austriaca infuria e non conosce tregua. Una bomba esplode nel terrapieno dove Giuseppe è asserragliato insieme ad altri ufficiali, vicino ad una mitragliatrice. Muore in un angolo fangoso di trincea, disperatamente rannicchiato, una mano al fucile e l’altra sulla faccia, come molti suoi compagni, senza conoscere il volto del suo uccisore; forse addirittura senza aver mai fissato i suoi occhi direttamente in quelli di un nemico. La fine è un coacervo di sensazioni indistinguibili: oltre la paura ed il dolore, è l’istinto della sopravvivenza a contorcersi. Lampi di fuoco, caldo, sibili, amaro, boati, polvere, sangue e poi buio, solo buio.