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Tricase è paese uno e trino, come suggerisce il suo nome. E' in primis luogo marino, luce e blu del Mediterraneo. All'orizzonte, il fondale appena accennato dei monti dell'Albania rammenta che questo mare non evoca lontananze, non allontana i popoli. Al contrario è mare che genera incontri, che intreccia storie di paesi e di genti, 'mare nostrum', appunto, sottocasa.
Ma Tricase è anche, e squisitamente, luogo di campagna: la geografia dei muretti a secco, delle terre rosse su cui s'allargano argentate le chiome degli ulivi, su cui svetta regale l'amatissima Quercia Vallonea.
Last but not least, è centro storico, borgo antico, paese nel senso più compatto del termine: scandito dal succedersi dei palazzetti delle grandi famiglie, come i Codacci Pisanelli e dei quartieri popolari come "Lu Puzzu ", oggi segnati da un semiabbandono che avvolge di silenzio i cortili e gli androni solo qualche decennio fa traboccanti di vita.
Sorte comune a quasi tutti i piccoli centri storici d'Italia: gli abitanti hanno costruito ovunque un 'secondo paese' moderno, disertando i vecchi borghi dove per secoli la storia li aveva destinati. Un processo spesso caotico e devastante per l'ambiente che a Tricase, però, ha camminato con passo più leggero che altrove. I 'piccoli omicidi' (abusivismo edilizio, restauri improvvidi dell'architettura rurale, discariche d'immondizia) sono anche qui presenti, ma il massacro della natura e della storia che ha sconquassato tanta parte del Sud è stato evitato.
Gli itinerari che con tenace passione Francesco Accogli percorre in questo libro si snodano attraverso questi tre reami - mare, campagna, centro storico - partendo obbligatoriamente da quello che è il fulcro simbolico dell'identità tricasina, la grande Quercia Vallonea.
Non è certo casuale che sia questo ciclopico albero il ,segno distintivo' della storia e delle genti di Tricase. Secondo il filosofo C. G. Jung, infatti, l'albero è vita che scorre tra terra e cielo, una metafora dell'essere umano: siamo alberi che camminano e non lo sappiamo. Guardando la 'nostra'quercia, quest'arcaica consapevolezza di un'affinità profonda riaffiora e rimette radici nelle nostre vite.
La rete dei sentieri geografici e storici che l'autore ha saputo tessere con dedizione, competenza (e incredibile pazienza di esploratore/ raccoglitore) ci racconta una storia di Tricase che non è solo intessuta d'eventi esterni ma è soprattutto storia a interiore, geografia d'anime. A fine lettura, mi è tornato alla mente un passaggio di una splendida poesia di Girolamo Comi intitolata "Cantico dell'albero" in cui risuona "... la corale e tenera aderenza/ del sottosuolo alle radici/" che riconsacra il poeta come "semenza scandita in trilli di terra e di cielo". Al pari di Comi, interprete più sottile e profondo dell'anima tricasina, siamo anche noi semi di questa quercia-madre, felici di riscoprirci suoi figli.