Bona mixta malis. Fascismo, antifascismo e chiesa cattolica nel Salento

Coppola Salvatore
Dello stesso autore
Editore/Produttore: GRAFICHE GIORGIANI
EAN: L00002600



pp.415, brossura

 L’obiettivo è quello di portare alla luce, sulla base di una vasta documentazione proveniente da archivi nazionali, spagnoli, vaticani e provinciali, una pagina di storia salentina che non è stata finora indagata in maniera esaustiva. Mi propongo, inquadrando le vicende del fascismo salentino nel contesto nazionale, di verificare se sia possibile parlare, per la nostra provincia, di un consenso di massa nei confronti del regime fascista, un concetto che è stato fissato nelle opere di Renzo De Felice; anticipando subito quelle che saranno le conclusioni, penso di poter affermare che tale consenso, così come non ci fu nel resto d’Italia, non c’è stato neanche nel Salento, a meno che non si vogliano confondere le apparenze (adunate, parate e altre manifestazione organizzate dal regime) con quella che è stata la realtà più autentica caratterizzata da un sentimento di sostanziale indifferenza delle masse popolari nei confronti del regime. Non credo di sbagliare se quantifico in un poco più del 10% della popolazione salentina il numero di quanti furono fascisti, per interesse (i più) o per convinzione (i meno); sarebbe più appropriato parlare, pertanto, di accettazione passiva, da parte della stragrande maggioranza della popolazione salentina, di un regime che molto spesso si presentava con i caratteri della prepotenza dei gerarchi provinciali e locali e dello sfruttamento nei luoghi di lavoro da parte soprattutto dei grossi agrari e dei concessionari di tabacco; di quel regime le masse contadine sembrarono apprezzare solamente le misure di carattere assistenziale (doti nuziali, premi di natalità, ecc.) e la realizzazione di alcune opere pubbliche che costituivano altrettante occasioni di lavoro. Non ci si può stupire più di tanto se, nel corso delle numerose manifestazioni ostili che caratterizzarono la vita sociale ed economica del Salento di quegli anni, i manifestanti gridavano viva Mussolini, abbasso il podestà, abbasso il segretario del Fascio; anche tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento scioperanti e manifestanti meridionali inneggiavano al re e imprecavano contro i ras locali (gli agrari e i loro sostenitori politici). L’effetto suggestione, artatamente creato dai mezzi di comunicazione (la radio), portò in alcuni momenti le masse contadine del Salento a santificare Mussolini, almeno fino all’inizio della guerra mondiale. Ma tutto ciò non può significare consenso alla politica del regime.

Il secondo tema di cui mi occupo nel libro è quello dell’antifascismo: una prima superficiale lettura della documentazione esistente ci porterebbe a pensare che l’attività antifascista dei gruppi politici organizzati non fosse estesa ed incisiva, a parte alcuni tentativi comunisti di tenere in piedi una struttura clandestina; e tuttavia, mi sembra che l’indifferenza della stragrande maggioranza della popolazione contadina e il suo silenzio di fronte alle parate propagandistiche, un silenzio rotto spesso dal rumore assordante delle manifestazioni e agitazioni che non poche preoccupazioni diedero ai gerarchi del regime, siano la prova di un diffuso antifascismo che potrà anche essere chiamato afascismo, ma che comunque denota l’esistenza di una ampia e diffusa area di non consenso; e ciò mi conferma nella convinzione che sia per lo meno azzardato continuare a parlare di consenso di massa, vasto e diffuso. De Felice (Mussolini il duce. Gli anni del consenso) sostiene che le manifestazioni e le agitazioni del periodo 1929-1934 non intaccarono la solidità del consenso di massa di Mussolini e del regime e che tutte le agitazioni, determinate da motivi squisitamente economici, non avevano una motivazione politica; se si leggono le numerose relazioni della Prefettura e della Questura inviate al Ministero dell’Interno in occasione di quelle agitazioni, osserviamo che tutte ripetono il medesimo clichè delle motivazioni economiche e mai politiche poste a base delle manifestazioni ostili al regime. Ora si tratta di mettersi d’accordo sul significato che si vuole dare al termine politico; se alcuni storici vogliono dimostrare che non c’è stata, in occasione delle manifestazioni, una direzione politica, o perlomeno non sempre c’è stata, si può essere d’accordo; viceversa, se dimostreremo, come penso di poter fare, che la rabbia e l’esasperazione dei lavoratori si indirizzavano contro le scelte di politica economica del governo, contro la politica dei sindacati falsamente rappresentativi degli interessi dei lavoratori, contro podestà, segretari del PNF e delle altre organizzazioni collaterali, allora si può sostenere che le numerose agitazioni e manifestazioni dei lavoratori, anche qui nel Salento, hanno avuto un carattere decisamente politico, pur se le motivazioni poste alla base delle agitazioni erano, come è normale che fossero, di natura economica.     

L’altro argomento del presente lavoro riguarda i rapporti tra il fascismo e la Chiesa cattolica: sul tema si è scritto tantissimo e ancor più si continua a scrivere dopo l’apertura degli archivi di Pio XI; sulla base dei documenti utilizzati per il presente lavoro, ho maturato due convinzioni; la prima è che, se a scatenare la polemica nei confronti dell’associazionismo cattolico non fossero stati gli stessi fascisti, soprattutto sulla questione della cosiddetta politicizzazione dell’Azione cattolica, la Chiesa non avrebbe contrastato in maniera decisa (come fece Pio XI, ma come non fecero tutte le gerarchie ecclesiastiche) la politica di un regime che, risolvendo la questione romana, aveva riconosciuto diversi privilegi al clero e teorizzava una politica che, su più punti, coincideva con la dottrina sociale della Chiesa (ad esempio il corporativismo). Quanto al Salento, quella dei cattolici organizzati e delle gerarchie ecclesiastiche fu una posizione che, pur potendo definirsi di sostanziale afascismo, non mancò in più occasioni di dare prova di una convinta e sincera adesione alla politica del fascismo, come si vide soprattutto a metà degli anni trenta. Il settimanale cattolico L’Ordine, che si pubblicava a Lecce come organo di quella diocesi, ma che, a partire dai primi anni trenta, si definì settimanale cattolico salentino, svolse per alcuni anni quasi un ruolo di supplenza di un vero e proprio periodico della Federazione provinciale fascista; negli articoli di carattere politico pubblicati dal giornale si trovano, infatti, tutte le notizie concernenti l’attività della Federazione. Quel giornale inoltre creò, attraverso gli editoriali del direttore, un vero e proprio culto della personalità nei confronti di Mussolini, esaltato ed osannato in tutte le forme. 

La seconda convinzione è che le gerarchie ecclesiastiche non seguirono la linea dottrinale di Pio XI, le cui prese di posizione ideologiche contro il totalitarismo, contro la guerra coloniale ingiusta e contro le leggi razziali, sembrarono non attecchire nelle diocesi del Salento, con l’eccezione di quella di Otranto, dove l’arcivescovo Cuccarollo mantenne una posizione più defilata rispetto al regime. Dalle fonti consultate emerge che il massimo di consenso, quello almeno più appariscente, il fascismo salentino lo raggiunse in occasione della guerra d’Etiopia grazie soprattutto al sostegno del clero. La categoria dell’afascismo, creata per incastonare l’atteggiamento del mondo cattolico (o della sua maggioranza) in una sorta di posizione intermedia tra l’anti e il filo fascismo, è stata utilizzata da diversi storici, che hanno voluto sottolineare il carattere di neutralità o di non belligeranza della Chiesa nei confronti del regime.   

Quanto all’applicazione delle leggi razziali nel Salento, è un dato (salvo smentite da altre fonti da me allo stato non conosciute) che, nonostante le chiare presse di posizione del pontefice, qui da noi il clero, salvo qualche rara eccezione, non prese posizione né contro l’ideologia razziale né contro le misure di discriminazione di cui furono vittime i pochi ebrei salentini.

Negli anni della guerra, clero e associazionismo cattolico fecero propri i temi e i toni della propaganda patriottica del regime, esattamente come avevano fatto tra il 1935 e il 1936, in occasione della campagna d’Etiopia


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€ 13,50
Disponibilità: NON DISPONIBILE, ESAURITO O FUORI CATALOGO

pp.415, brossura

 L’obiettivo è quello di portare alla luce, sulla base di una vasta documentazione proveniente da archivi nazionali, spagnoli, vaticani e provinciali, una pagina di storia salentina che non è stata finora indagata in maniera esaustiva. Mi propongo, inquadrando le vicende del fascismo salentino nel contesto nazionale, di verificare se sia possibile parlare, per la nostra provincia, di un consenso di massa nei confronti del regime fascista, un concetto che è stato fissato nelle opere di Renzo De Felice; anticipando subito quelle che saranno le conclusioni, penso di poter affermare che tale consenso, così come non ci fu nel resto d’Italia, non c’è stato neanche nel Salento, a meno che non si vogliano confondere le apparenze (adunate, parate e altre manifestazione organizzate dal regime) con quella che è stata la realtà più autentica caratterizzata da un sentimento di sostanziale indifferenza delle masse popolari nei confronti del regime. Non credo di sbagliare se quantifico in un poco più del 10% della popolazione salentina il numero di quanti furono fascisti, per interesse (i più) o per convinzione (i meno); sarebbe più appropriato parlare, pertanto, di accettazione passiva, da parte della stragrande maggioranza della popolazione salentina, di un regime che molto spesso si presentava con i caratteri della prepotenza dei gerarchi provinciali e locali e dello sfruttamento nei luoghi di lavoro da parte soprattutto dei grossi agrari e dei concessionari di tabacco; di quel regime le masse contadine sembrarono apprezzare solamente le misure di carattere assistenziale (doti nuziali, premi di natalità, ecc.) e la realizzazione di alcune opere pubbliche che costituivano altrettante occasioni di lavoro. Non ci si può stupire più di tanto se, nel corso delle numerose manifestazioni ostili che caratterizzarono la vita sociale ed economica del Salento di quegli anni, i manifestanti gridavano viva Mussolini, abbasso il podestà, abbasso il segretario del Fascio; anche tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento scioperanti e manifestanti meridionali inneggiavano al re e imprecavano contro i ras locali (gli agrari e i loro sostenitori politici). L’effetto suggestione, artatamente creato dai mezzi di comunicazione (la radio), portò in alcuni momenti le masse contadine del Salento a santificare Mussolini, almeno fino all’inizio della guerra mondiale. Ma tutto ciò non può significare consenso alla politica del regime.

Il secondo tema di cui mi occupo nel libro è quello dell’antifascismo: una prima superficiale lettura della documentazione esistente ci porterebbe a pensare che l’attività antifascista dei gruppi politici organizzati non fosse estesa ed incisiva, a parte alcuni tentativi comunisti di tenere in piedi una struttura clandestina; e tuttavia, mi sembra che l’indifferenza della stragrande maggioranza della popolazione contadina e il suo silenzio di fronte alle parate propagandistiche, un silenzio rotto spesso dal rumore assordante delle manifestazioni e agitazioni che non poche preoccupazioni diedero ai gerarchi del regime, siano la prova di un diffuso antifascismo che potrà anche essere chiamato afascismo, ma che comunque denota l’esistenza di una ampia e diffusa area di non consenso; e ciò mi conferma nella convinzione che sia per lo meno azzardato continuare a parlare di consenso di massa, vasto e diffuso. De Felice (Mussolini il duce. Gli anni del consenso) sostiene che le manifestazioni e le agitazioni del periodo 1929-1934 non intaccarono la solidità del consenso di massa di Mussolini e del regime e che tutte le agitazioni, determinate da motivi squisitamente economici, non avevano una motivazione politica; se si leggono le numerose relazioni della Prefettura e della Questura inviate al Ministero dell’Interno in occasione di quelle agitazioni, osserviamo che tutte ripetono il medesimo clichè delle motivazioni economiche e mai politiche poste a base delle manifestazioni ostili al regime. Ora si tratta di mettersi d’accordo sul significato che si vuole dare al termine politico; se alcuni storici vogliono dimostrare che non c’è stata, in occasione delle manifestazioni, una direzione politica, o perlomeno non sempre c’è stata, si può essere d’accordo; viceversa, se dimostreremo, come penso di poter fare, che la rabbia e l’esasperazione dei lavoratori si indirizzavano contro le scelte di politica economica del governo, contro la politica dei sindacati falsamente rappresentativi degli interessi dei lavoratori, contro podestà, segretari del PNF e delle altre organizzazioni collaterali, allora si può sostenere che le numerose agitazioni e manifestazioni dei lavoratori, anche qui nel Salento, hanno avuto un carattere decisamente politico, pur se le motivazioni poste alla base delle agitazioni erano, come è normale che fossero, di natura economica.     

L’altro argomento del presente lavoro riguarda i rapporti tra il fascismo e la Chiesa cattolica: sul tema si è scritto tantissimo e ancor più si continua a scrivere dopo l’apertura degli archivi di Pio XI; sulla base dei documenti utilizzati per il presente lavoro, ho maturato due convinzioni; la prima è che, se a scatenare la polemica nei confronti dell’associazionismo cattolico non fossero stati gli stessi fascisti, soprattutto sulla questione della cosiddetta politicizzazione dell’Azione cattolica, la Chiesa non avrebbe contrastato in maniera decisa (come fece Pio XI, ma come non fecero tutte le gerarchie ecclesiastiche) la politica di un regime che, risolvendo la questione romana, aveva riconosciuto diversi privilegi al clero e teorizzava una politica che, su più punti, coincideva con la dottrina sociale della Chiesa (ad esempio il corporativismo). Quanto al Salento, quella dei cattolici organizzati e delle gerarchie ecclesiastiche fu una posizione che, pur potendo definirsi di sostanziale afascismo, non mancò in più occasioni di dare prova di una convinta e sincera adesione alla politica del fascismo, come si vide soprattutto a metà degli anni trenta. Il settimanale cattolico L’Ordine, che si pubblicava a Lecce come organo di quella diocesi, ma che, a partire dai primi anni trenta, si definì settimanale cattolico salentino, svolse per alcuni anni quasi un ruolo di supplenza di un vero e proprio periodico della Federazione provinciale fascista; negli articoli di carattere politico pubblicati dal giornale si trovano, infatti, tutte le notizie concernenti l’attività della Federazione. Quel giornale inoltre creò, attraverso gli editoriali del direttore, un vero e proprio culto della personalità nei confronti di Mussolini, esaltato ed osannato in tutte le forme. 

La seconda convinzione è che le gerarchie ecclesiastiche non seguirono la linea dottrinale di Pio XI, le cui prese di posizione ideologiche contro il totalitarismo, contro la guerra coloniale ingiusta e contro le leggi razziali, sembrarono non attecchire nelle diocesi del Salento, con l’eccezione di quella di Otranto, dove l’arcivescovo Cuccarollo mantenne una posizione più defilata rispetto al regime. Dalle fonti consultate emerge che il massimo di consenso, quello almeno più appariscente, il fascismo salentino lo raggiunse in occasione della guerra d’Etiopia grazie soprattutto al sostegno del clero. La categoria dell’afascismo, creata per incastonare l’atteggiamento del mondo cattolico (o della sua maggioranza) in una sorta di posizione intermedia tra l’anti e il filo fascismo, è stata utilizzata da diversi storici, che hanno voluto sottolineare il carattere di neutralità o di non belligeranza della Chiesa nei confronti del regime.   

Quanto all’applicazione delle leggi razziali nel Salento, è un dato (salvo smentite da altre fonti da me allo stato non conosciute) che, nonostante le chiare presse di posizione del pontefice, qui da noi il clero, salvo qualche rara eccezione, non prese posizione né contro l’ideologia razziale né contro le misure di discriminazione di cui furono vittime i pochi ebrei salentini.

Negli anni della guerra, clero e associazionismo cattolico fecero propri i temi e i toni della propaganda patriottica del regime, esattamente come avevano fatto tra il 1935 e il 1936, in occasione della campagna d’Etiopia

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DatiDescrizione
EANL00002600
AutoreCoppola Salvatore
EditoreGRAFICHE GIORGIANI
Data pubblicazione2011/10
CategoriaStoria
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