Trofei della città di Guisnes

Verri Antonio
Dello stesso autore
Editore/Produttore: EDIZIONI IL LABORATORIO
EAN: 2421000001060



pp.175 brossura

“Antonio Verri non andava mai a letto presto, è grazie a lui che ci riunivamo alle trattorie di Sternatia e Cursi” ricorda Maurizio Nocera, l’ottobrino dei romanzi di Verri. Partire dalla vena notturna dello scrittore originario di Caprarica di Lecce è forse necessario, anche per capire quanto il tragico destino di Verri fosse scritto nella sua indole e nel suo modo di vivere.

La notte tra l’8 maggio 1993 e il 9 maggio 1993 una macchina di grossa cilindrata nei pressi di Caprarica di Lecce travolse una 126 che procedeva sulla stessa corsia. L’impatto tra le due autovetture proiettò quella piccola 126 contro un ulivo. Lo schianto fu letale e il conducente della piccola Fiat morì.

Dentro quella macchina accartocciata e fumante sulle radici dell’ulivo c’era la splendida stagione del Pensionante de’ Saraceni, il dibattito letterario degli anni ottanta, le betisse ossia le belle ragazze salentine un po’ addormentate, l’Avanguardia meridionale, le allegre serate a Sternatia e Cursi, quella fresca ventata sulla poesia salentina; in due parole c’era Antonio Verri.

Un uomo importante non solo per quello che ha scritto, ma anche e per tutto quello che ha fatto e lasciato. Innanzitutto l’esperienza di alcune fra le più vivaci riviste letterarie meridionali tra le quali “Caffè Greco”, “Pensionante de’Saraceni” e “Quotidiano dei Poeti”. E poi un’idea nuova e non referenziale della cultura, un intellettuale che aveva abbracciato disparate esperienze come anche quella dell’editoria. Uno scrittore che era alla ricerca del grande romanzo della sua terra, un’opera mondo che lui chiamava Declaro.

La scrittura di Antonio Verri è sostanzialmente inedita, pubblicata in edizioni semiclandestine: “Il pane sotto la neve” (1983), “Il Fabbricante di Armonia”, “ La Betissa”, “I trofei della città di Guisnes” (1988), “Bucherer, l’orologiaio” (1995). Conosciuto da uno sparutissimo gruppo di lettori che ne apprezzano la qualità e soprattutto l’originalità. La letteratura di Antonio Verri è una delle più atipiche del secondo Novecento, la sua lingua a metà strada tra prosa e poesia è inclassificabile, ma dotata di un andamento armonico, ricco di metafore e similitudini. Nei suoi libri introvabili echeggiano neologismi, figure fiabesche, un mondo a volte irreale costruito nella cornice di un sogno. Tutto questo però oggi è quasi impossibile da reperire.

Il giovane studioso e scrittore Rossano Astremo nel numero 3 della rivista letteraria Vertigine (vertigine.clarence.com) interamente dedicata a Verri ha in qualche modo messo in luce questo problema dell’irreperibilità dei testi verriani scrivendo nell’editoriale: “Le piccole ripubblicazioni effettuate negli anni da suoi grandi amici di vita, hanno certamente contribuito a tenere desto il ricordo dell’uomo Verri, ma a seppellire quasi definitivamente l’originalità del Verri scrittore.” L’ho interpellato chiedendogli perchè oggi una rivista letteraria integralmente dedicata a Verri ? Chi te l’ha fatta fare ? Ha risposto Astremo: “Non mi stancherò mai di ripetere, su Verri mancano testi critici, mancano ripubblicazioni "serie" in grado di portare la sua scrittura al di fuori dei confini marginali della periferia salentina. Si parla spesso di Antonio Verri come di un uomo dal forte dalla grande generosità, colto dal raptus continuo della creatività, ma nessuno si è mai soffermato con attenzione sulla sua scrittura. Vertigine ha fornito un percorso di lettura dell'opera di Verri, ha voluto essere un inizio, mettendo insieme la gente che meglio ha compreso la sua poetica, e mi riferisco in particolare ad Antonio Errico e Fabio Tolledi.”

Il fatto che giovani ventenni pugliesi cerchino ancora in Verri un punto di riferimento fa capire la sua importanza e il suo spirito. Nel manifesto poetico di Verri c’è un verso che rende chiara quanta potenza demistificatrice e dunque innovativa avesse la sua parola: “Fatevi disprezzare, dissentite quanto potete/” e continua dicendo “fatevi un gazebo oblungo, amate/ gli sciocchi artisti beoni, i buffoni/ le loro rivolte senza senso/ le tenerezze di morte, i cieli di prugna/ le assolutezze, i desideri di volare, le risorse del corpo/i misteri di donna Catena./ Fate fogli di poesia poeti, vendeteli per poche lire!”. Queste parole chiare per raccontare in poco la battaglia personale di Verri per la diffusione della letteratura, una battaglia che merita una pubblicazione adeguata. Un primo passo lo compirà un editore calabrese chiamato Abramo che in passato ha pubblicato Gissing e Nöel e adesso pubblicherà “I trofei della città di Guisnes” di Verri. Un passo soltanto, ma che serve a costruire un ponte tra Verri e il resto d’Italia. A proposito di ponti, Verri creava ponti, ponti tra la sua generazione e la sua terra e le altre generazioni e il resto d’Europa, tanto che qualcuno si chiedeva perchè una rivista come il Pensionante dovesse ospitare contributi di autori stranieri. Verri rispondeva da poeta dicendo che anche i poeti stranieri “si svegliavano di notte con gli incubi che gli altri, intorno, stavano scrivendo il capolavoro, mentre loro dormivano.”

Lo sguardo davanti alla letteratura italiana era uno sguardo nuovo, ma legato indissolubilmente a una melanconia tipica dello scrittore meridionale, quella che viene brillantemente descritta da Flavio Santi in un suo saggio su Trame “La linea borbonica ha perso perchè (in buona fede) ha sbagliato politica: proprio come un nobile aristocratico è restata nella sua villa di campagna a bere vino d’annata, mentre tutti traslocavano in città a bere crodino; la linea lombarda, molto pragmaticamente, ha capito che non basta scrivere capolavori. Bisogna anche saperli vendere. A volte, se è il caso, anche con l’aiuto di qualche imbonitore.” E Verri come Bodini e Vittorio Pagano non era certo uno che andava a bere crodini in città per farsi accettare e neanche aveva mai avuto bisogno di imbonitori. Forse questo senso morale lo aveva fermato prima di qualunque successo e di qualunque consacrazione. Tanto che scrisse di lui Antonio Errico: “Stefen (alter ego di Verri nei suoi scritti nda) fu il padre di una generazione stupenda, nè cattedre, nè premi, nè mortadelle alla cuccagna, perchè non ha saputo vendere parolette al mercato dell’usato, perchè non ha voluto arrampicarsi al palo ingrassato…”

La sua terra non ha dimenticato Antonio Verri, il Fondo Verri con la regia di Mauro Marino organizza eventi e incontri nello spirito che contraddistingueva l’impegno dello scrittore di Caprarica. Il suo ricordo è necessario filtrarlo oggi nella sua opera scritta, ma anche nei ricordi dei suoi amici, nelle foto che sono rimaste (tra le tante una curiosa con il drammaturgo Fabio Tolledi sotto un drappo rosso) e in quello splendido cammeo che ci ha lasciato la poetessa Claudia Ruggeri dopo la morte del caro amico Antonio: la vita estranea a quella forma/ cresciuta senza gradi o atti o/ noi alla vita – perchè l’edera/ sferrata al tirso errante muta di/ luce violenta di suoni in corsa/ come dio squassava le foreste/ ed era primavera (?/ non un solo getto di memoria/ così orgogliosamente ebbri da far/ pensare ad una riva e ad un bosco/ perfetti di acque e poi si fanno/ protezione e poi fuga di forze/ probabilmente strappo e comunque/ più in là religiosamente uguali/ le ipotesi all’ombra inanellate/ allora che vi chiedo./ Chiedetemi di sollevare il calice/ e di portarlo complice alle labbra/ e poi di dirvelo piano e con sottile/ ironia che vi amo.
**

dal sito di “vertigine” sull’ uscita per Abramo del romanzo “I trofei della città di Guisnes” di Antonio Verri
Ciao, Rossano.Qualche giorno fa, stavo giusto pensando vediamo se per caso c’è qualche novità su Antonio Verri, e ho trovato il tuo articolo e quello del Desiati. Son contento!
Ho conosciuto Antonio Verri nel 1998. Era morto da cinque anni, ma evidentemente ancora capace di muovere le cose quaggiù… Beh, non so se fu lui a venire a trovar me, oppure io a scovar lui; andò così: un bel giorno – cioè, a dire il vero, non fosse stato per l’epifania che stava per capitarmi, avrebbe avuto corso la mia solita, meravigliosa giornata di m…! – , ero alla ricerca di bibliografia critica su Dylan Thomas nella biblioteca nazionale di Bari; all’epoca, andavo preparando l’esame di letteratura inglese e Thomas costituiva per me una vera ossessione; stavo consultando un archivio, quand’ecco che m’imbatto nella scheda relativa ad una strana pubblicazione dal titolo Le rane hanno il pancino chiaro, autore un certo Toma, Salvatore Toma, a cura di Antonio Verri. La richiesi. Passai le ore a scrutarci dentro, fotocopiai il più possibile intuendo che dovevo avere fra le mani qualcosa di molto raro e prezioso. In realtà, scoprii la cosa trattarsi di una cartella-tributo al poeta magliese, consistente in diversi fogli sciolti che andavano dall’intervento biografico e critico al documento epistolare, passando per componimenti d’occasione di altri poeti, fotografie e contributi grafici. Mi colpì la forma, non narcisistica, come improvvisata di questa iniziativa mai vista prima: non pomposi ‘Atti del Convegno…’, bensì, semplicemente, carte, da leggere come meglio mi paresse, testimonianze raccolte senza un preciso ordine e un senso che non fosse il rispetto e l’amore per un poeta nato, e finito, poeta. C’erano anche dei disegni di Toma, ma per il resto dovetti accontentarmi di mere citazioni dai suoi scritti sparse qua e là per quei fogli. Tuttavia questo era solo l’inizio. Thomas Toma Verri, che combinazione! Fatto sta che da allora, in qualche modo, anch’io mi sento in parte veicolo della sua persistenza, della sua refrattarietà all’obliterazione cui imprese anacronistiche e eroiche come le sue – alludo al Pensionante, al Quotidiano, ecc. – non sfuggirebbero in mancanza dell’interesse di gente come te e, un po’, come me. Oggi, mi trovo orgogliosamente in possesso dell’esemplare n. 46, autografato, del primo dei Mascheroni, Il naviglio innocente, Erreci Edizioni, Maglie 1990; di uno scherzo che Verri e Toma si fecero, ossia una copia di Forse ci siamo di Salvatore che in verità contiene Il pane sotto la neve di Antonio, che Antonio regalò a Salvatore, e di una copia de Il pane sotto la neve di Antonio che in verità contiene Forse ci siamo di Salvatore, che Salvatore regalò ad Antonio; di una copia di Antonio, Antonio!, Istituto “Diego Carpitella”, 1998; e di alcune lettere e cartoline di Antonio a Salvatore. La restante sua opera mi è purtroppo ancora sconosciuta, soprattutto quella successiva al 1987, anno della scomparsa di Toma, nella cui libreria, quindi, vengono a mancare le opere dell’amico risalenti al periodo 1987-’93. E vorrei sapere se puoi aiutarmi a reperirla; mi piacerebbe anche sapere come procurarmi il numero di Incroci e di Vertigine coi tuoi articoli ed "I trofei della città di Guisnes" se già edito da Abramo.

Vedi, la storia della mia conoscenza di Verri, s’intreccia a quella della conoscenza di Toma, di Stefano Coppola e Claudia Ruggeri (a proposito, ti sarei tantissimo grato se avessi da darmi delle dritte anche su di lei, di cui ho potuto leggere soltanto dei frammenti, e non mi bastano: lei era formidabile!), insomma queste storie sono parte della mia storia, avere a che fare con le loro parole ha esorcizzato alcuni miei ‘pericoli’, la mia catarsi in cambio della memoria che porto con me di quello che loro furono (non dimentichiamo che, per dirla con Toma, costoro sono tutti morti per la nostra presenza!).

Fu subito, nell’estate di quel ’98, che mi organizzai per la mia prima spedizione nel Salento dei poeti, per attingere informazioni più concrete e dal vivo su Salvatore e Antonio, avendomi assai colpito quella loro maniera personalissima di intendere la letteratura. A Maglie mi ci indirizzò Valli, al liceo Capece e alla locale biblioteca. Mi furono presentate delle persone, tra cui il ‘titivillo’ Pino Refolo, il quale mi donò quell’esemplare del Naviglio, e nel cui studio potei ammirare un Declaro; Maurizio Nocera, il quale mi donò Antonio, Antonio!; Claudio Micolano; e, nel corso dei miei viaggi successivi, Antonio Errico, Aldo Bello, Fernando Bevilacqua, Paola Antonucci, vedova Toma, della quale, insieme a tutta la famiglia del poeta, divenni e sono amico.

Nel frattempo, la pubblicazione nel 1999 dell’einaudiano "Canzoniere della morte", che, seppure con alcune contraffazioni stabilite da esigenze commerciali (inventiamo la balla che è morto suicida, e ci saranno almeno tremila maniaci suicidi in Italia a cui piazzare la prima tiratura e così accontentiamo pure la Corti che s’è proprio fissata con ’sto strambo poeta meridionale!) affrancava Toma dall’esilio cui altrimenti sarebbe rimasto condannato a causa dell’irreperibilità dei suoi libri, mi esortò a chiedere la tesi di laurea su di lui, e ad ottenerla da uno dei pochi docenti illuminati e attenti della barese facoltà di lettere.

Ma, andando avanti e penetrando nell’intimo della vita e dell’opera del poeta, uno sterile lavoro accademico me ne avrebbe fatto tradire inevitabilmente il sentimento profondo, e lasciai perdere, anche a causa di altri intoppi che subentrarono a tentarmi di mandare al diavolo il mio pastiche esistenziale fatto di scrittura e di vita. Ho realizzato di poter fare ben altro per lui, e lo sto facendo, in un romanzo autobiografico in cui a volte convergono le bozze, laddove sono meno tediosamente scientifiche, di quell’abortito progetto di tesi.

Allora, Rossano, spero che potrai far fronte alle mie richieste, e comunque di sentirti presto.

da La Repubblica, martedì 19 Ottobre 2004


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pp.175 brossura

“Antonio Verri non andava mai a letto presto, è grazie a lui che ci riunivamo alle trattorie di Sternatia e Cursi” ricorda Maurizio Nocera, l’ottobrino dei romanzi di Verri. Partire dalla vena notturna dello scrittore originario di Caprarica di Lecce è forse necessario, anche per capire quanto il tragico destino di Verri fosse scritto nella sua indole e nel suo modo di vivere.

La notte tra l’8 maggio 1993 e il 9 maggio 1993 una macchina di grossa cilindrata nei pressi di Caprarica di Lecce travolse una 126 che procedeva sulla stessa corsia. L’impatto tra le due autovetture proiettò quella piccola 126 contro un ulivo. Lo schianto fu letale e il conducente della piccola Fiat morì.

Dentro quella macchina accartocciata e fumante sulle radici dell’ulivo c’era la splendida stagione del Pensionante de’ Saraceni, il dibattito letterario degli anni ottanta, le betisse ossia le belle ragazze salentine un po’ addormentate, l’Avanguardia meridionale, le allegre serate a Sternatia e Cursi, quella fresca ventata sulla poesia salentina; in due parole c’era Antonio Verri.

Un uomo importante non solo per quello che ha scritto, ma anche e per tutto quello che ha fatto e lasciato. Innanzitutto l’esperienza di alcune fra le più vivaci riviste letterarie meridionali tra le quali “Caffè Greco”, “Pensionante de’Saraceni” e “Quotidiano dei Poeti”. E poi un’idea nuova e non referenziale della cultura, un intellettuale che aveva abbracciato disparate esperienze come anche quella dell’editoria. Uno scrittore che era alla ricerca del grande romanzo della sua terra, un’opera mondo che lui chiamava Declaro.

La scrittura di Antonio Verri è sostanzialmente inedita, pubblicata in edizioni semiclandestine: “Il pane sotto la neve” (1983), “Il Fabbricante di Armonia”, “ La Betissa”, “I trofei della città di Guisnes” (1988), “Bucherer, l’orologiaio” (1995). Conosciuto da uno sparutissimo gruppo di lettori che ne apprezzano la qualità e soprattutto l’originalità. La letteratura di Antonio Verri è una delle più atipiche del secondo Novecento, la sua lingua a metà strada tra prosa e poesia è inclassificabile, ma dotata di un andamento armonico, ricco di metafore e similitudini. Nei suoi libri introvabili echeggiano neologismi, figure fiabesche, un mondo a volte irreale costruito nella cornice di un sogno. Tutto questo però oggi è quasi impossibile da reperire.

Il giovane studioso e scrittore Rossano Astremo nel numero 3 della rivista letteraria Vertigine (vertigine.clarence.com) interamente dedicata a Verri ha in qualche modo messo in luce questo problema dell’irreperibilità dei testi verriani scrivendo nell’editoriale: “Le piccole ripubblicazioni effettuate negli anni da suoi grandi amici di vita, hanno certamente contribuito a tenere desto il ricordo dell’uomo Verri, ma a seppellire quasi definitivamente l’originalità del Verri scrittore.” L’ho interpellato chiedendogli perchè oggi una rivista letteraria integralmente dedicata a Verri ? Chi te l’ha fatta fare ? Ha risposto Astremo: “Non mi stancherò mai di ripetere, su Verri mancano testi critici, mancano ripubblicazioni "serie" in grado di portare la sua scrittura al di fuori dei confini marginali della periferia salentina. Si parla spesso di Antonio Verri come di un uomo dal forte dalla grande generosità, colto dal raptus continuo della creatività, ma nessuno si è mai soffermato con attenzione sulla sua scrittura. Vertigine ha fornito un percorso di lettura dell'opera di Verri, ha voluto essere un inizio, mettendo insieme la gente che meglio ha compreso la sua poetica, e mi riferisco in particolare ad Antonio Errico e Fabio Tolledi.”

Il fatto che giovani ventenni pugliesi cerchino ancora in Verri un punto di riferimento fa capire la sua importanza e il suo spirito. Nel manifesto poetico di Verri c’è un verso che rende chiara quanta potenza demistificatrice e dunque innovativa avesse la sua parola: “Fatevi disprezzare, dissentite quanto potete/” e continua dicendo “fatevi un gazebo oblungo, amate/ gli sciocchi artisti beoni, i buffoni/ le loro rivolte senza senso/ le tenerezze di morte, i cieli di prugna/ le assolutezze, i desideri di volare, le risorse del corpo/i misteri di donna Catena./ Fate fogli di poesia poeti, vendeteli per poche lire!”. Queste parole chiare per raccontare in poco la battaglia personale di Verri per la diffusione della letteratura, una battaglia che merita una pubblicazione adeguata. Un primo passo lo compirà un editore calabrese chiamato Abramo che in passato ha pubblicato Gissing e Nöel e adesso pubblicherà “I trofei della città di Guisnes” di Verri. Un passo soltanto, ma che serve a costruire un ponte tra Verri e il resto d’Italia. A proposito di ponti, Verri creava ponti, ponti tra la sua generazione e la sua terra e le altre generazioni e il resto d’Europa, tanto che qualcuno si chiedeva perchè una rivista come il Pensionante dovesse ospitare contributi di autori stranieri. Verri rispondeva da poeta dicendo che anche i poeti stranieri “si svegliavano di notte con gli incubi che gli altri, intorno, stavano scrivendo il capolavoro, mentre loro dormivano.”

Lo sguardo davanti alla letteratura italiana era uno sguardo nuovo, ma legato indissolubilmente a una melanconia tipica dello scrittore meridionale, quella che viene brillantemente descritta da Flavio Santi in un suo saggio su Trame “La linea borbonica ha perso perchè (in buona fede) ha sbagliato politica: proprio come un nobile aristocratico è restata nella sua villa di campagna a bere vino d’annata, mentre tutti traslocavano in città a bere crodino; la linea lombarda, molto pragmaticamente, ha capito che non basta scrivere capolavori. Bisogna anche saperli vendere. A volte, se è il caso, anche con l’aiuto di qualche imbonitore.” E Verri come Bodini e Vittorio Pagano non era certo uno che andava a bere crodini in città per farsi accettare e neanche aveva mai avuto bisogno di imbonitori. Forse questo senso morale lo aveva fermato prima di qualunque successo e di qualunque consacrazione. Tanto che scrisse di lui Antonio Errico: “Stefen (alter ego di Verri nei suoi scritti nda) fu il padre di una generazione stupenda, nè cattedre, nè premi, nè mortadelle alla cuccagna, perchè non ha saputo vendere parolette al mercato dell’usato, perchè non ha voluto arrampicarsi al palo ingrassato…”

La sua terra non ha dimenticato Antonio Verri, il Fondo Verri con la regia di Mauro Marino organizza eventi e incontri nello spirito che contraddistingueva l’impegno dello scrittore di Caprarica. Il suo ricordo è necessario filtrarlo oggi nella sua opera scritta, ma anche nei ricordi dei suoi amici, nelle foto che sono rimaste (tra le tante una curiosa con il drammaturgo Fabio Tolledi sotto un drappo rosso) e in quello splendido cammeo che ci ha lasciato la poetessa Claudia Ruggeri dopo la morte del caro amico Antonio: la vita estranea a quella forma/ cresciuta senza gradi o atti o/ noi alla vita – perchè l’edera/ sferrata al tirso errante muta di/ luce violenta di suoni in corsa/ come dio squassava le foreste/ ed era primavera (?/ non un solo getto di memoria/ così orgogliosamente ebbri da far/ pensare ad una riva e ad un bosco/ perfetti di acque e poi si fanno/ protezione e poi fuga di forze/ probabilmente strappo e comunque/ più in là religiosamente uguali/ le ipotesi all’ombra inanellate/ allora che vi chiedo./ Chiedetemi di sollevare il calice/ e di portarlo complice alle labbra/ e poi di dirvelo piano e con sottile/ ironia che vi amo.
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dal sito di “vertigine” sull’ uscita per Abramo del romanzo “I trofei della città di Guisnes” di Antonio Verri
Ciao, Rossano.Qualche giorno fa, stavo giusto pensando vediamo se per caso c’è qualche novità su Antonio Verri, e ho trovato il tuo articolo e quello del Desiati. Son contento!
Ho conosciuto Antonio Verri nel 1998. Era morto da cinque anni, ma evidentemente ancora capace di muovere le cose quaggiù… Beh, non so se fu lui a venire a trovar me, oppure io a scovar lui; andò così: un bel giorno – cioè, a dire il vero, non fosse stato per l’epifania che stava per capitarmi, avrebbe avuto corso la mia solita, meravigliosa giornata di m…! – , ero alla ricerca di bibliografia critica su Dylan Thomas nella biblioteca nazionale di Bari; all’epoca, andavo preparando l’esame di letteratura inglese e Thomas costituiva per me una vera ossessione; stavo consultando un archivio, quand’ecco che m’imbatto nella scheda relativa ad una strana pubblicazione dal titolo Le rane hanno il pancino chiaro, autore un certo Toma, Salvatore Toma, a cura di Antonio Verri. La richiesi. Passai le ore a scrutarci dentro, fotocopiai il più possibile intuendo che dovevo avere fra le mani qualcosa di molto raro e prezioso. In realtà, scoprii la cosa trattarsi di una cartella-tributo al poeta magliese, consistente in diversi fogli sciolti che andavano dall’intervento biografico e critico al documento epistolare, passando per componimenti d’occasione di altri poeti, fotografie e contributi grafici. Mi colpì la forma, non narcisistica, come improvvisata di questa iniziativa mai vista prima: non pomposi ‘Atti del Convegno…’, bensì, semplicemente, carte, da leggere come meglio mi paresse, testimonianze raccolte senza un preciso ordine e un senso che non fosse il rispetto e l’amore per un poeta nato, e finito, poeta. C’erano anche dei disegni di Toma, ma per il resto dovetti accontentarmi di mere citazioni dai suoi scritti sparse qua e là per quei fogli. Tuttavia questo era solo l’inizio. Thomas Toma Verri, che combinazione! Fatto sta che da allora, in qualche modo, anch’io mi sento in parte veicolo della sua persistenza, della sua refrattarietà all’obliterazione cui imprese anacronistiche e eroiche come le sue – alludo al Pensionante, al Quotidiano, ecc. – non sfuggirebbero in mancanza dell’interesse di gente come te e, un po’, come me. Oggi, mi trovo orgogliosamente in possesso dell’esemplare n. 46, autografato, del primo dei Mascheroni, Il naviglio innocente, Erreci Edizioni, Maglie 1990; di uno scherzo che Verri e Toma si fecero, ossia una copia di Forse ci siamo di Salvatore che in verità contiene Il pane sotto la neve di Antonio, che Antonio regalò a Salvatore, e di una copia de Il pane sotto la neve di Antonio che in verità contiene Forse ci siamo di Salvatore, che Salvatore regalò ad Antonio; di una copia di Antonio, Antonio!, Istituto “Diego Carpitella”, 1998; e di alcune lettere e cartoline di Antonio a Salvatore. La restante sua opera mi è purtroppo ancora sconosciuta, soprattutto quella successiva al 1987, anno della scomparsa di Toma, nella cui libreria, quindi, vengono a mancare le opere dell’amico risalenti al periodo 1987-’93. E vorrei sapere se puoi aiutarmi a reperirla; mi piacerebbe anche sapere come procurarmi il numero di Incroci e di Vertigine coi tuoi articoli ed "I trofei della città di Guisnes" se già edito da Abramo.

Vedi, la storia della mia conoscenza di Verri, s’intreccia a quella della conoscenza di Toma, di Stefano Coppola e Claudia Ruggeri (a proposito, ti sarei tantissimo grato se avessi da darmi delle dritte anche su di lei, di cui ho potuto leggere soltanto dei frammenti, e non mi bastano: lei era formidabile!), insomma queste storie sono parte della mia storia, avere a che fare con le loro parole ha esorcizzato alcuni miei ‘pericoli’, la mia catarsi in cambio della memoria che porto con me di quello che loro furono (non dimentichiamo che, per dirla con Toma, costoro sono tutti morti per la nostra presenza!).

Fu subito, nell’estate di quel ’98, che mi organizzai per la mia prima spedizione nel Salento dei poeti, per attingere informazioni più concrete e dal vivo su Salvatore e Antonio, avendomi assai colpito quella loro maniera personalissima di intendere la letteratura. A Maglie mi ci indirizzò Valli, al liceo Capece e alla locale biblioteca. Mi furono presentate delle persone, tra cui il ‘titivillo’ Pino Refolo, il quale mi donò quell’esemplare del Naviglio, e nel cui studio potei ammirare un Declaro; Maurizio Nocera, il quale mi donò Antonio, Antonio!; Claudio Micolano; e, nel corso dei miei viaggi successivi, Antonio Errico, Aldo Bello, Fernando Bevilacqua, Paola Antonucci, vedova Toma, della quale, insieme a tutta la famiglia del poeta, divenni e sono amico.

Nel frattempo, la pubblicazione nel 1999 dell’einaudiano "Canzoniere della morte", che, seppure con alcune contraffazioni stabilite da esigenze commerciali (inventiamo la balla che è morto suicida, e ci saranno almeno tremila maniaci suicidi in Italia a cui piazzare la prima tiratura e così accontentiamo pure la Corti che s’è proprio fissata con ’sto strambo poeta meridionale!) affrancava Toma dall’esilio cui altrimenti sarebbe rimasto condannato a causa dell’irreperibilità dei suoi libri, mi esortò a chiedere la tesi di laurea su di lui, e ad ottenerla da uno dei pochi docenti illuminati e attenti della barese facoltà di lettere.

Ma, andando avanti e penetrando nell’intimo della vita e dell’opera del poeta, uno sterile lavoro accademico me ne avrebbe fatto tradire inevitabilmente il sentimento profondo, e lasciai perdere, anche a causa di altri intoppi che subentrarono a tentarmi di mandare al diavolo il mio pastiche esistenziale fatto di scrittura e di vita. Ho realizzato di poter fare ben altro per lui, e lo sto facendo, in un romanzo autobiografico in cui a volte convergono le bozze, laddove sono meno tediosamente scientifiche, di quell’abortito progetto di tesi.

Allora, Rossano, spero che potrai far fronte alle mie richieste, e comunque di sentirti presto.

da La Repubblica, martedì 19 Ottobre 2004

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DatiDescrizione
EAN2421000001060
AutoreVerri Antonio
EditoreEDIZIONI IL LABORATORIO
Data pubblicazione1988/12
CategoriaNarrativa
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